Su “Huffington Post” ho scritto un intervento sul tema degli investimenti pubblici in ripresa, grazie agli enti locali. Si avvicinano le elezioni e sarebbe importante sapere quale schieramento politico vuole puntare sull’autonomia locale. Ma davvero. Cioè disboscando il profluvio di leggi nebulose, contraddittorie, mal scritte e orientate da sei-sette anni a questa parte a porre in atto un progressivo e incessante neo-centralismo, a danni dei bisogni, delle necessità, degli obiettivi delle comunità territoriali. Pochi mesi fa ponemmo con forza il tema; chiedemmo che tutte le forze politiche convergessero su questo piccolo-grande obiettivo: il ritorno della centralità dell’autonomia e della sussidiarietà.
Dichiarazioni di principio, che impongono scelte pratiche e conseguenti. Proprio ora che, dopo anni di rubinetti chiusi – con la revisione del patto di stabilità – si torna ad avere denari per investimenti. Investimenti pubblici per opere e infrastrutture sul territorio. Una delle leve principali della ripresa degli investimenti sono le formule del partenariato pubblico-privato (come il project financing) che i Comuni hanno iniziato a conoscere e frequentare anche nei lunghi anni delle vacche magre. In assenza di risorse finanziarie in bilancio, se utilizzavano le risorse private per avviare opere di interesse pubblico, per le quali il privato acquisiva il diritto per la gestione dell’impianto/infrastruttura.
I Comuni sono i soggetti pubblici che più di tutti stanno valorizzando le possibilità di una nuova infrastrutturazione di interesse pubblico. Veniamo da un lungo periodo di investimenti “bloccati”. Gli investimenti fissi lordi sono passati dai 15 miliardi del 2004 ai poco più di 8 miliardi nel 2014. Qualcosa sta finalmente cambiando. Nel 2015 gli impegni in conto capitale hanno segnato una ripresa decisa: +1,3 miliardi.
Se negli anni passati il partenariato pubblico-privato (Ppp) era l’unica leva disponibile per fare investimenti, oggi i Comuni possono scegliere se riprendere il ciclo del normale indebitamento (visto che le risorse si trovano) o continuare con il Ppp. I Comuni rappresentano la Pa che più spesso conta sul Ppp; a maggior ragione abbiamo bisogno di Comuni in buona salute, capaci di mettere in campo risorse umane (oltre a quelle finanziarie) in grado di gestire la complessità. Il blocco del turnover in questi anni di crisi, non ha favorito l’internalizzazione di competenze e capacità operative su questi temi.
Tra il 2002 e il 2016 sono quasi 90 i miliardi investiti con il Ppp per opere e servizi nei settori dell’edilizia sociale e pubblica, negli impianti sportivi, per l’arredo urbano e il verde pubblico. In questo lasso di tempo circa l’80% dei bandi sono dei Comuni. Grazie al Ppp attualmente i Comuni riescono ad alimentare un quarto delle proprie opere pubbliche, andando a coprire il 66% del valore di queste ultime.
Ma proprio perché oggi si può scegliere – indebitamento tradizionale, o progetti di Ppp – è bene comprendere che il Ppp deve essere preferito solo nei casi in cui effettivamente l’intervento del privato consente una migliore soddisfazione dell’interesse della comunità. Come nel caso in cui si debba provvedere alla gestione di un servizio e non solo alla realizzazione materiale dell’opera. E quindi in questi casi il partner privato, oltre che finanziatore dell’opera diventa l’ideale gestore, in un circolo virtuoso che meglio si attaglia – per fare un esempio – agli impianti sportivi, che una volta realizzati richiedono una quotidiana gestione e valorizzazione.
Sullo sfondo resta la necessaria valutazione che spetta al decisore pubblico, quando si decide di dare avvio all’opera pubblica. Una valutazione che è soprattutto di “sostenibilità”. Valutazione che rimanda però alla più generale condizione in cui versano le autonomie locali in Italia, Paese che in realtà non consente ai comuni di sviluppare al meglio le proprie potenzialità.
Di sostenibilità si parla, in genere, in riferimento alla questione ambientale o alla dimensione finanziaria . In realtà esiste altre forme di sostenibilità che a bene vedere compromettono la possibilità di fare investimenti nei nostri territori. Una sostenibilità amministrativa (da recuperare nelle tortuosità di un diritto amministrativo sfrangiato e nebuloso), una operativa (che deve poter contare su risorse umane competenti e sagaci) e una più squisitamente democratica: il consenso ci deve essere, non solo nell’opinione pubblica, ma deve permanere nella volontà politica. Non devo rammentare io la grande volatilità della politica italiana, anche a livello locale. Si fa tutto nel breve periodo, qualche volta condizionati dalla volontà di assecondare la “fame di discontinuità” che alligna tra l’elettorato, più spesso per l’assenza delle condizioni minima di certezze finanziarie e giuridiche che possono alimentare una strategia di lungo termine. Ma tutto questo è una forma di suicidio sociale, una condanna per i destini delle comunità locali. E soprattutto è un nemico per ogni investimento privato in partnership. La continuità amministrativa è un valore poco praticato nelle amministrazioni, anche locali. Ma è la condizione dei tempi medio-lunghi che giustificano un’opera in project financing, per fare un esempio.
Solo una forte autonomia locale, riconosciuta e riaffermata, potrà contribuire a dare quegli elementi di certezza di governo indispensabili quando si parla di investimenti in opere pubbliche.