I Comuni hanno fatto i compiti a casa. Le società partecipate pubbliche non sono solo comunali, ma i nostri enti locali hanno fatto un vera razionalizzazione dell’esistente (non tutte le altre Pa lo hanno fatto): contiamo 1654 partecipate in meno.
Questi – e molti altri – sono i dati (anticipati dal Sole-24 Ore del 29 novembre) che emergono dal monitoraggio dell’Ifel, la fondazione dell’Anci per la finanza locale, di cui sono presidente, e che restituiscono il quadro, parziale ma assai significativo della razionalizzazione imposta dalla riforma Madia. Il taglio ha quindi riguardato circa il 30% delle 5374 partecipate attive prima della riforma. Ma ci tengo a chiarire una cosa: bisogna prestare attenzione a non cadere nell’errore che vuol individuare nelle partecipate solo ed unicamente fonti di spreco. Quelle rimaste, infatti, producono globalmente un saldo positivo per la finanza pubblica.
La riforma, lo ricordo, imponeva alle Pubbliche Amministrazioni un piano straordinario di razionalizzazione fornendo indicazioni inequivocabili: investimenti pubblici fuori dalle società con vocazione diversa da “finalità istituzionali” e da quelle in perdita strutturali. Parametri oggettivi, chiari e inderogabili per essere raggirati o mal interpretati.
E se il censimento richiesto dal ministero dell’Economia si concluderà solo dopo il 7 dicembre, sono già disponibili i dati relativi ai Comuni.
Sono state cedute, liquidate, chiuse o si son fuse il 30,7% delle partecipate attive prima della riforma e sono specialmente le aziende più piccole ad essere state interessate dalla riforma. Il loro destino? Spesso la privatizzazione dopo l’abbandono da parte dei Comuni.
Ad Ascoli il Comune ha venduto la società di commercializzazione del gas e delle farmacie: vendere il gas o farmaci non è di certo mestiere del Comune.
Si tratta quindi di razionalizzazioni utili e doverose.