In difesa del decreto Salvini, e della democrazia

Nei giorni scorsi, sono stati numerosi i miei interventi in trasmissioni – da Tg2 Punti di Vista (Rai 2) a Tutta la città ne parla (Radio Tre) e La7, e RaiUno… – che hanno messo a tema le intenzioni di alcuni Sindaci di disobbedire del decreto Sicurezza approvato dal Parlamento. Ho già avuto modo di sollecitare l’Anci a una iniziativa unitaria di confronto interno, per evitare che l’ideologia e la politica partigiana impediscano di affrontare il tema dell’immigrazione e della sicurezza nel suo perimetro di realtà. Ho già avuto di sostenere che il cosiddetto Decreto Salvini abbia migliorato e di molto la situazione. Chi lo nega fa ideologia. E anche peggio.

Sottrarsi alla legge in nome di presunte ragioni umanitarie sarebbe come dichiarare la fine dello Stato di diritto. La fine della democrazia. La fine della convivenza politica e il ritorno feroce delle ideologie: le leggi dello Stato si possono discutere, ma si devono applicare, perché hanno seguito un percorso parlamentare di democrazia. Sicurezza e immigrazione, non da oggi, sono temi su cui la politica non può sottrarsi alle asprezze e non può rifugiarsi nelle ideologie. Tantomeno possono farlo i Sindaci, le Istituzioni più vicine ai cittadini e alle comunità territoriali.
I Sindaci non sono giudici, non sono legislatori, sono amministratori pubblici, parti integranti del corpo dello Stato. La deriva anti-istituzionale non può e non deve contagiarci.

C’è una questione sostanziale che viene trascurata da questo riaccendersi dei toni sul tema dell’immigrazione e dei connessi problemi della sicurezza.
Il “permesso di soggiorno per motivi umanitari”, fortemente ristretto dal decreto Salvini, è stato introdotto nella nostra legislazione nel 2015 e aggira l’impianto originario dello Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, legge 189/2002). Le regole dello Sprar erano state pensate per fare dei Comuni dei facilitatori dell’integrazione, in un periodo antecedente all’esplosione della crisi libica del 2011, quando ancora l’immigrazione economica era regolata dai decreti flussi, e quella umanitaria era una eccezione riconoscibile e quindi gestibile.

Nel 2015 lo Sprar – con le maglie allargate dal “permesso di soggiorno per motivi umanitari” – è diventato un sistema che ha bypassato ogni criterio di selezione dell’immigrazione: salvo poi scoprire che meno del 5% del totale degli immigrati lo è per motivi umanitari. E in questo modo ha coinvolto i Comuni nelle attività di accoglienza, umanitaria appunto, più che di integrazione sociale ed economica.

Per quanto mi riguarda, resto convinto che sia stata criminogena la politica di un’accoglienza scriteriata favorita dai Governi a trazione Pd. Il decreto Salvini ha voluto chiudere definitivamente questa stagione, e in forza di una nuova maggioranza parlamentare, ha ritenuto di cambiare radicalmente l’approccio alla politica della gestione dell’emergenza immigrazione. Peraltro la stessa Europa ha convenuto di aver sbagliato e molto nell’affronto dei problemi connessi ai flussi immigratori, e non solo nella posizione più radicale dei Governi dell’Est, ma anche nella visione (spesso opportunista) adottata da Berlino e Parigi.

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