Non dimenticare, un altro anniversario dopo il terremoto

Sono passati due anni. E un’altra data ci invita a non dimenticare. Dopo il 24 agosto e il 30 ottobre 2016, il 18 gennaio 2017 altre scosse rimbalzarono nelle vite distrutte e spogliate dei cittadini di Marche, Lazio e Abruzzo. Tre forti scosse di terremoto fecero tremare ancora il nostro Centro Italia. Aggiunsero macerie a macerie. Ad Amatrice crollava il campanile della chiesa di Sant’Agostino. E i nomi di altre vittime allungarono la lista di morte: alle falde del Gran Sasso, in provincia di Pescara, l’hotel Rigopiano era travolto da una slavina, 29 le vittime solo in quell’episodio.

Per troppe migliaia di nostri concittadini dimenticare e’ impossibile. Come dimenticare, quando si vive nelle casette ammuffite e fatiscenti che avrebbero dovuto alleviare la vita solo per i primi mesi dopo il disastro? Come dimenticare quando si vedono le tonnellate di macerie ancora non rimosse?

Per noi non dimenticare e’ un dovere umano, civico e politico. Non dimenticare è la premessa per aiutare chi è stato travolto dalla tragedia e di fatto abbandonato.

Oggi, e da ormai una settimana, è chiuso il presidio giornaliero dei Vigili del fuoco di Rieti, operativo ad Amatrice dal 24 agosto 2016.

Sono molte le chiese e gli edifici di culto di proprietà comunale che hanno subito danni a causa del terremoto. Nel caso di Ascoli si tratta del complesso di Sant’Angelo Magno, la chiesa di Santa Maria della Carità, la Basilica di San Francesco e la Chiesa del Carmine. Si tratta, oltre che di luoghi di culto, anche di edifici artistici di assoluto pregio culturale.

Un amico dopo il terremoto del 2016-2017 mi disse: “Siamo terremotati da trent’anni. Perché? Perché in trent’anni, e forse più, abbiamo visto investimenti sempre e solo in pianura.” Già, l’Italia non si divide solo tra Nord e Sud, ma anche fra chi vive in pianura e chi è nato e risiede in montagna.

L’Italia è fatta come è fatta. Appenninca e sismica. Si deve poter vivere in montagna senza dover essere eroi. Dirò di più: si deve poter vivere in territori sismici senza doverli maledire. C’è chi ha calcolato che le catastrofi sismiche dagli anni Cinquanta a oggi, in Italia, siano costate oltre 250 miliardi di euro. L’assurdità è che in Italia, spesso, si trattano i terremoti come se fossero incidenti stradali. Si mettono i soldi, magari si spendono male, e poi: punto e a capo.

Non si può e non si deve trascurare il fatto che quel che è avvenuto e sta avvenendo negli ultimi anni in Emilia, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo e Molise ha messo in moto o almeno drammaticamente evidenziato tre importanti processi di evoluzione della dorsale appenninica, di cui ho scritto anche nel libro “Coi piedi per terra”(Edizioni d’Este).

1. L’aggravarsi dello spopolamento delle aree interne (specialemente dei borghi) con la conseguente crisi occupazionale ed economica.

2. La diminuita propensione a vivere in tali aree, sin da parte degli abitanti “storici”, sia da parte di coloro che in esse avevano trovato seconda casa, sede di vacanza, base di piccole attività terziare (specialmente turistiche).

3. La crescente propensione a privilegiare (per la prima come per la seconda casa) le zone costiere distanti dalle aree appenniniche.

Non c’è chi non veda che una tale evoluzione cambia la dinamica e la stessa identità del sistema Italia, in una realtà nazionale senza il suo tradizionale scheletro appenninico.

Non dobbiamo dimenticare questa parte dell’Italia, non solo perché è centrale, non solo perché è più fragile, non solo perché spesso e’ trascurata. Dobbiamo ricordare.

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