Nelle città di medie dimensioni nasce il futuro del Paese

Tra città metropolitane e piccoli borghi c’è una realtà che rappresenta meglio di tutte l’Italia, quella delle città di medie dimensioni. È stata una giornata di studi ricca di testimonianze e riflessioni, di stimoli e di condivisioni di prospettive per il futuro. La prima Conferenza annuale dei Sindaci delle città medie si è svolta venerdì scorso, a Parma, con un bilancio molto, molto positivo.

Il dossier di lavoro – esito delle proposte emerse dai sei precedenti appuntamenti Anci con il Road Show – ha dato inizio ai lavori offrendo un panorama complesso delle “Città Medie”, cerniere fra aree urbane e rurali. Ma anche fondamentali punto di accesso per i piccoli comuni alle filiere produttive specializzate e di connessione con le vicine Città metropolitane. Il futuro del Paese parte proprio dalle città medie, ne sono convinto.

Il collega Jacopo Massaro, sindaco di Belluno, le ha definite l'”ultimo baluardo contro lo spopolamento” e ha posto l’accento su un tema a me (tanto) caro: la disparità tra queste città. Disparità legate non solo al loro posizionamento al Nord o Sud d’Italia, ma anche al loro sviluppo in territori pianeggianti o montuosi. Una constatazione necessaria perché oggi, a parità di problematiche, la disponibilità di risorse per servizi e opere sui territori varia di Comune in Comune, e non di poco.

Per quanto riguarda la fondazione IFEL, di cui sono Presidente, il dossier presentato documenta quanto accaduto negli ultimi dieci anni. La criticità della situazione finanziaria dei comuni e il contributo richiesto alle autonomie per il risanamento dei conti pubblici hanno generato almeno due conseguenze.
A livello economico ha implicato non solo una sottrazione di risorse delle amministrazioni locali, ma anche un rilassamento dei conti pubblici.
A livello amministrativo, invece, ha determinato un disassamento delle autonomie, un disallineamento del sistema organizzativo territoriale, definitivamente incrinato dall’attuazione del riordino delle Province con la creazione delle aree vaste.

E su quest’ultimo punto credo sia necessaria una riflessione: in Italia lo sviluppo urbanistico del territorio non ha mai dato vita a “Global Cities“, così come è avvenuto in alcune città europee. Ad oggi, solo Milano si avvicina vagamente a questo modello, grazie all’apporto significativo che l’alta velocità ha comportato per lo sviluppo della città.
Ed è proprio su questa considerazione che vorrei porre l’attenzione: la definizione di una strategia nazionale per le infrastrutture e la mobilità consentirebbe l’attribuzione di una maggiore autonomia a livello locale.

Perché, per rendere le politiche strategiche delle città medie incisive sul territorio, è indispensabile mettere in campo relazioni, interdipendenze chiare – e possibilmente armoniche – tra i vari livelli dello Stato.

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