Giovedì scorso son stato ospite di Radio Anch’io, la trasmissione di Giorgio Zanchini in onda su Radio Uno. L’argomento di approfondimento rispetto al quale sono intervenuto, è relativo al fisco: come e in quale misura le addizionali possano incidere sulle tasse nazionali. In particolare lo sblocco delle aliquote – consentito ai Comuni – può determinare un aumento della pressione fiscale per i cittadini?
È importante ricordare che la tassazione locale è da anni ormai, al servizio delle casse dell’erario statale. Un dato su tutti riguarda l’imposizione sugli immobili: la manovra di Monti del 2012 determinò un notevole aumento della patrimoniale e, in appena un anno, portò la tassazione sugli immobili da 9.2 miliardi di gettito (ICI 2011) a 23.9 miliardi (IMU 2012).
Le imposte, richieste ai cittadini a livello locale, da Comuni e sindaci, sono utilizzate dallo Stato, a livello centrale, per migliorare i conti pubblici.
È avvenuta una clamorosa operazione di trasferimento di responsabilità fiscale che, solo l’anno scorso, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha quantificata, certificando che da Monti in poi i conti dello Stato sono stati risanati a spese dei Comuni.
Alla luce di queste considerazioni, la situazione oggi appare “stabilizzata”: i Comuni, di fatto, riscuotono una “fissità”, rispetto alla quale lo sblocco aliquote non produrrà grandi trasformazioni. Come ho ricordato in altre occasioni, le tasse locali – mi riferisco a quelle Comunali – sono già prevalentemente al massimo: lo dimostra ad esempio l’addizionale Irpef, definita al massimo in quasi tutte le città Italiane. Quindi non si possono più aumentare.
In questo senso, – è valido per i Comuni, ma non per le Regioni – non c’è margine di manovrabilità: il sistema della autonomie è stato ampiamente stressato. E per i cittadini non c’è più pericolo di vedere aumentata la pressione fiscale, già al massimo del consentito.