Prendo in prestito le parole di Hegel per commentare i dieci anni trascorsi dal terremoto de L’Aquila: “Dalla storia impariamo che non impariamo dalla storia“.
Di sisma e ricostruzione, da L’Aquila ad Amatrice, della fragilità del nostro territorio centro-appenninico, abbiam parlato venerdì scorso, a Coffee Break, con Niccolò Riviera, il giornalista Antonello Caporale, l’ex sindaco de L’Aquila Massimo Cialente e Piero Farabollini, Commissario alla ricostruzione.
Chi, come me e come il collega Massimo Cialente, si è ritrovato a ricoprire la carica di sindaco in quei giorni terribili, ha vissuto emozioni difficili da descrivere: il senso di responsabilità, la necessità di divenire un punto di riferimento per la comunità nella situazione più terribile che si possa immaginare. Difficilmente dimenticherò la difficoltà provata nel dover allestire una camera ardente per tutte le vittime dei paesi distrutti, così come il dovere di procedere con i certificati di morte per le amministrazioni che avevano perso tutto, anche i luoghi in cui esercitare il proprio ufficio.
Ciò che mi sorprende – terminata la fase di emergenza, in cui si è tutti poco lucidi – è l’assoluta incapacità della macchina amministrativa di definire priorità, di agire con responsabilità. Di rimuovere macerie per ricostruire abitazioni. Anche perché, il terremoto che ha scolpito il Centro-Italia, ha colpito aree e territori già profondamente feriti, spopolati, avviliti e affaticati, rendendo più evidente la progressiva eutanasia in corso nel centro Italia.
Che il terremoto sia ascrivibile a una condizione straordinaria, letteralmente intesa come fuori dall’ordinario, credo sia una affermazione sulla quale non sia possibile dissentire. La gestione dell’emergenza del terremoto del centro Italia è stato un disastro proprio perché è stata la prima che abbiamo affrontato dopo la riforma del 2012, quella che ha introdotto procedure ordinarie anche per procedure di emergenza. E se alla mancata gestione dell’emergenza aggiungiamo la goffa gestione del post sisma fatta di labirinti normativi, di deroghe mancate, dell’incapacità dei Comuni di applicare principi di autonomia locale, il puzzle si completa. Malamente.
E forse impariamo che allo straordinario non si può applicare l’ordinario.
Ma soprattutto – come diceva Hegel – che dalla storia no, proprio non impariamo.