Lunedì scorso sono stato ospite di “Centocittà“, la trasmissione di Radio Uno condotta da Gianluca Semprini. Insieme a Carlo Cottarelli (Osservatorio CPI. Università Cattolica del Sacro Cuore) e Riccardo Mastrangeli (Assessore di Frosinone) ho commentato i dati dell’Università Ca’ Foscari di Venezia in merito ai Comuni a rischio default.
I Comuni in default, non più in grado di pagare creditori e garantire i servizi essenziali, sono costretti ad appellarsi al sostegno e ai finanziamenti statali.
Le cause che conducono al dissesto e a questo stato di “sofferenza” economica sono diverse: e non si tratta sempre di “cattiva amministrazione”. C’è un problema di riscossione, quindi a monte di evasione fiscale. I dati vedono i dissesti concentrarsi nelle città con oltre 100.000 abitanti e, geograficamente, Campania, Calabria e Sicilia vantano i primati numerici.
E poi c’è un problema di ristrutturazione del debito: i Comuni pagano interessi su mutui trentennali, ancora con tassi del 5-7%, del tutto fuori mercato.
Ma l’indagine di Ca’ Foscari è parziale. Innanzitutto dimentica la grande gelata sulle risorse, che i Comuni hanno sofferto tra il 2012 e il 2015: 12 miliardi in meno per i tagli decisi dallo Stato centrale, che ha usato i Comuni come bancomat per colmare i propri debiti.
Peraltro i Comuni – la stragrande maggioranza – sono stati virtuosi: hanno colto l’occasione per ridurre sensibilmente la loro spesa corrente (-7%) e quella relativa al personale (-16%).
Insomma, i Comuni hanno fatto il loro dovere, anche qualcosa in più; certo molto più di quello che hanno fatto le Amministrazioni centrali dello Stato. E peraltro, contrariamente a quanto dice Ca’ Foscari, i Comuni in dissesto o predissesto sono “solo” 330 non 500. Sempre troppi, ma non sono nemmeno il 5% del totale. Soprattutto il comparto dei Comuni nel suo complesso produce ormai avanzi di bilancio! Ne ho scritto su Huffington Post e una mia dichiarazione è stata rilanciata anche dalle agenzie di stampa.