La XIII Conferenza Annuale dell’Unesco Creative Cities Network di Fabriano ha riunito in questi giorni e nella nostra bella regione sindaci e delegati provenienti da tutto il mondo.
Le sfide delle città nel XXI secolo e la definizione di soluzioni concrete – ispirate a cultura, solidarietà e inclusione – sono i temi di confronto per una ridefinizione delle politiche e dei processi di urbanizzazione, alla luce degli obiettivi dall’Agenda ONU 2030.
E, in calendario ieri, c’era anche Save the Apps, un incontro che ha visto – tra gli altri – Giuseppe De Rita, Francesco Merloni, Ermete Relacci e Romano Prodi confrontarsi sul progetto per l’Appennino sostenuto dalla Fondazione Aristide Merloni, insieme ad altri soggetti, tra cui Fondazione Vodafone Italia e Fondazione Ericsson.
Save the Apps – lanciato nel 2017 – nasce con l’obiettivo di dare nuovo impulso all’economia dell’area appenninica e contribuire alla ricostruzione dei valori sia culturali che identitari di questi territori, riportando l’attenzione sulla necessità di interrompere il processo di progressiva marginalizzazione dell’Appennino a esclusivo vantaggio delle aree costiere.
L’iniziativa si articola in tre diversi ambiti: commercio, turismo e agricoltura, e coinvolge le comunità dell’Appennino, le cui energie vitali sono parte integrante del tessuto produttivo del territorio. Ogni progetto si avvale di una forte componente tecnologica, basata su un paradigma sempre maggiormente orientato al digitale e una particolare attenzione è rivolta alle caratteristiche culturali del territorio, culla di grandi tradizioni spirituali e monastiche italiane. E terra fragile, da sempre colpita da sismi; e ormai da tre anni in attesa di una degna ricostruzione dopo il terremoto del 2016.
Il tema è a me tanto caro, ne ho scritto anche in Coi Piedi per terra, citando tra i tanti che hanno rivolto attenzione alla nostra terra: “Da sempre l’Appennino è la montagna magra, la parente povera delle Alpi, terra delle vacche grasse, dei doppi vetri e delle stufe, quanto l’Appennino lo è delle case abbandonate coi vetri rotti, dei caminetti anneriti e malandati“.
È con piacere che accolgo simili riflessioni e progetti: riaccendono i riflettori sull’importanza strategica dell’Appennino. Sono iniziative che favoriscono una integrazione orizzontale fra lo scheletro appenninico e le aree degradanti verso le coste.
Perché, se l’Appennino costituisce l’ossatura del nostro Paese, la costa ne rappresenta la polpa, e chi vuole l’osso? Nessuno. Ma senz’osso la polpa infracidisce. Giuseppe De Rita ha riproposto le sue metafore di profondo conoscitore del Paese. Conoscitore realistico: “L’Appennino non è nell’agenda politica di nessuno; ma noi vogliamo provarci, con il Governo italiano e con quello europeo“.