Che cosa accomuna la coppia Francoforte-Wiesbaden a quella Sulmona-Barrea? Nulla oltre alla distanza lineare: in termine di chilometri è la stessa, ma i tempi di percorrenza tra le due località abruzzesi sono 4 volte superiori al tempo che di fatto separa le due città tedesche. Uno dei paradossi dell’Appennino, che con l’Europa continentale ha poco a che vedere.
E da cosa sono accumunate la Fondazione Vodafone, la Fondazione Ericsson, la Fondazione Garrone, la Coldiretti, Cremonini, Hurry, Namirial, Pwc, l’Università Politecnica delle Marche, l’Anci? In questo caso c’è qualcosa di positivo che li coinvolge: otto soggetti tra pubblico e privato (più privato che pubblico) che hanno adottato altrettanti progetti per ridare impulso alla ricostruzione di un territorio devastato dal sisma del 2016 e ferito da tutti quelli che si sono susseguiti, con pause più o meno lunghe, dal 1997: l’Appennino. Sì, lo stesso Appennino di Sulmona e Barrea.
Francesco Merloni, presidente della Fondazione Aristide Merloni, promotrice degli otto progetti per la rinascita dell’Appennino, durante la tredicesima conferenza annuale Unesco delle “città creative” ha dichiarato: “I soggetti privati hanno agito in questi anni. Ora è giunto il momento di fare blocco e chiedere al Governo di sostenerci perché l’Appennino rappresenta lo scheletro del nostro meraviglioso Paese. La spina dorsale del futuro dell’Italia. L’Appennino rappresenta una vera questione nazionale”.
Giuseppe De Rita, direttore del Censis, ha aggiunto: “Serve un accordo con lo Stato che non serva solo per le zone terremotate, ma per l’intero Appennino, che è anche a rischio spopolamento in favore della costa. L’agenda politica non collima con questa aspettativa? Bisogna insistere, fare fronte comune, porre la questione dell’Appennino all’attenzione delle agende dei Governi, di Roma e di Bruxelles”.
Una sfida difficile ma necessaria. Impossibile? Non secondo Franco Arminio, poeta e paesologo, che scrive: “Io penso che resterà tanto e che l’Appennino sarà il cuore dell’Italia. Poco alla volta si accenderanno focolai di senso, azioni politiche e poetiche. Insomma saranno territori più appetibili di come sono adesso”. E’ la forza della tradizione.
Citando Gustav Mahler “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. Ne ho scritto sull’Huffington Post.