Un voto amministrativo contro il neocentralismo di Monti, Renzi e Gentiloni

Si dirà che le elezioni amministrative non premiano mai il Governo di Roma. Può darsi. Ma il test elettorale conclusosi domenica 25 giugno ha indicato una chiarissima voglia di cambiare segno in tanti Comuni italiani. Un cambiamento contro il Pd, contro il M5S e in gran parte a favore del centrodestra, delle sue buone prove di amministrazione locale, della buona scelta di candidati credibili e affidabili, della sua rinnovata capacità di essere coalizione di valori e di efficienza.

Il prevedibile calo dell’affluenza, vista anche la stagione estiva con temperature particolarmente feroci, avrebbe dovuto penalizzare proprio il centrodestra. E invece dalle urne viene un verdetto, che per molti era inatteso. Un po’ più prevedibile per chi in questi anni ha lavorato sul territorio, difendendolo dagli attacchi della burocrazia centrale, della politica di centrosinistra, e dal velleitarismo grillino.

Troppi danni sono stati prodotti al tessuto delle nostre comunità locali a causa di un dissennato neo-centralismo che ha contraddistinto questi quattro anni di governi non eletti: che fosse Monti o Renzi (oppure oggi Gentiloni) a guidarli la scelta è stata univoca, far pagare la grave crisi economico-finanzaria ai Comuni. Quindi tagli alle risorse, ai servizi, alla qualità della vita nelle nostre città.

Tagli forsennati e ingiusti. Ingiusti non solo moralmente, ma anche illegittimi. Come affermato spesso dai massimi organi giurisdizionali. Uno degli ultimi atti in questo è stato quello del Consiglio di Stato, che ormai due anni fa aveva dato ragione ai Comuni che hanno chiesto il ristoro degli arretrati dovuti in virtù della illegittimità del cosiddetto “check di coerenza” utilizzato dal Mef nella quantificazione dei gettiti nel passaggio dall’Ici all’Imu, che ha penalizzato circa 3mila Comuni nella determinazione del fondo di riequilibrio e poi del fondo di solidarietà comunale.

Ma quando ha torto lo Stato centrale ci vuole tempo, molto tempo per avere applicata la giustizia, anche quando il vertice della giustizia amministrativa si esprime. Ci sono voluti due anni per trasformare il giudizio del Consiglio di Stato contro il Mef in un atto “riparatorio”. Solo alla fine dello scorso mese di maggio è stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DPCM che disciplina i criteri e le modalità di riparto dei due fondi previsti dalla legge di bilancio 2017. La pubblicazione del DPCM formalizza l’esito dell’accordo raggiunto nella Conferenza Unificata del 23 febbraio e consente l’erogazione delle risorse stanziate dalla legge di bilancio 2017. Appunto, due anni dopo la sentenza.

Non si tratta di bazzecole: lo Stato deve risarcire i Comuni con 28,8 milioni di euro annui per 10 anni (dal 2017 al 2026) da attribuire ai Comuni per il ristoro degli arretrati, per le risorse sottratte nel 2012, in forza di un calcolo iniquo nella fase di passaggio dall’Ici all’Imu. I soldi vennero sottratti nel 2012; il Consiglio di Stato diede ragione ai Comuni nel 2015; il Governo ha recepito la sentenza nel 2017 e finirà di pagare nel 2026. Niente male come tempismo.

Nel caso del mio Comune, Ascoli Piceno, dovrò riavere 3,9 milioni in dieci anni: 391mila euro all’anno. Ben vengano per dare una mano al bilancio. Ben vengano per la vita del mio Comune. Peccato che ho dovuto amministrare la mia città tagliando per cinque anni cifre che mi spettavano e che riavranno per lo più i miei successori come sindaco, per sette anni dopo la mia cessazione.

Vale per me e per molti miei colleghi: abbiamo dovuto fare i falcidiatori di bilanci, risorse e servizi, raccogliendo le giuste lamentele – quando non qualche ingiuria – da parte dei nostri concittadini, avvelenati dal peggioramento della qualità della vita. Poi altri che ci succederanno godranno delle nostre battaglie. Tutto bene, nello spirito della continuità amministrativa. Un po’ meno bene per chi ha dovuto fare i conti con un consenso minato dalla percezione di troppi tagli, anche se per colpa del Mef. Per strada, sotto i portici delle nostre città ci siamo noi sindaci, non gli uomini del Mef.

Non sempre siamo riusciti a spiegare che non era colpa nostra. In altri casi evidentemente ce l’abbiamo fatta. I risultati delle elezioni comunali appena archiviate sono sintomo che i cittadini hanno capito che molta parte delle disfunzioni amministrative erano dovute a tagli voluti a Roma, ma non dovuti. Illegittimi. Il Pd a Roma ha pagato il ruolo di artefice di un neocentralismo ingiusto e arrogante. E il M5S si è rivelato troppo spesso inadeguato alla complessità della partita amministrativa. L’autonomia locale e la sussidiarietà, da sempre patrimonio del centrodestra, tornano protagoniste del confronto politico, in attesa di una irrimandabile riforma della finanza locale.

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